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di Alan Marcheselli

Domenica sera, dopo circa 1200 km attraverso Italia, Svizzera, Germania e Olanda mentre guidavo per le vie di Enschede in cerca di un alloggio, pensavo a cosa realmente mi aspettavo dalla giornata successiva, cosa avrei voluto vedere o meglio cosa mi aspettavo di vedere dentro la fabbrica della Impossible, nei miei pensieri mi sentivo come Charly il giorno prima di varcare le porte della Fabbrica di cioccolato di Willy Wonka.

Involontariamente invece che dirigere verso il centro di Enschede, ho attraversato la zona industriale ed ecco il grande cartello nero IMPOSSIBLE, l’azienda era ovviamente chiusa e le strade deserte, avrei scoperto più tardi che tutti erano in centro davanti ad un mega schermo a guardare la penultima partita del loro campionato di calcio dove la piccola squadra locale si giocava la possibilità di disputare la finale scudetto con l’Ajax.

Così ho sostato come un cretino alcuni minuti con il muso della macchina verso l’ingresso e poi mi sono rimesso in viaggio, non sono sceso, penso che non sarei riuscito a risalire senza scavalcare il cancello e farmi un giretto nel piazzale e alla vigilanza probabilmente non sarebbe piaciuto.

Mi rendo conto che questa pagina quasi da diario rischia di diventare prolissa e melensa, non ci posso fare molto, ce l’ho sulla punta delle mie dita e devo, voglio scriverla e spero tanto vi diate il tempo di leggerla.

Mi basta poco per scrivere che finalmente sono arrivate le 10,30 del giorno dopo, ma la notte è trascorsa lenta come la vigilia di Natale quando hai 10 anni, poi finalmente ho attraversato il cancello e parcheggiato al centro del grande piazzale quadrato dove una volta venivano caricati i camion di pellicole.

Non faccio in tempo a scendere dalla macchina che già sto scattando foto come un bambino in gita e mentre mi sento un cretino, anzi un cretino felice vedo fotografi di tutte le età che stanno facendo lo stesso, ritardando il momento di passare sotto le tre grandi bandiere che conducono all’ingresso degli uffici.

Sulla porta compare Marlene, che ci informa di alcuni minuti di ritardo sulla presentazione, così con calma saliamo i due piani di scale che conducono alla mensa dove è stata allestita la grande sala conferenze che ospiterà la presentazione dell’ Inpossible Open Day.

Ci sono fotografi di tutte le età ed esperienze, per l’italia ci siamo solo noi ( Alan e Carmen ) e Beppe Bolchi, maggiore invece la rappresentanza Francese e Spagnola, un paio di Inglesi, mentre tutti gli altri sono Tedeschi e Neerlandesi.

Veniamo assegnati ad una guida con la raccomandazione di non fotografare o filmare i loghi dei loro fornitori, per il resto siamo liberi di scattare o filmare a nostra discrezione, la spiegazione di questa richiesta è semplice e ce la spiega Andrè Bosman, il tecnico che sta curando la ricerca del prodotto alla Impossible ; ogni singolo componente delle pellicole che vengono prodotte è di nuova concezione e ricavato da materiali che non derivano dalla passata gestione Polaroid, quindi l’azienda cerca di tutelare al massimo le sue fonti di materie prime.

Sempre Bosman ci mostra una fotografia aerea dello stabilimento, raccontandoci la vecchia dislocazione ai tempi della Polaroid e la nuova, ora solo un terzo del grande complesso, l’ala Nord è occupato dalla Impossible, il resto è stato affittato o ceduto.

Divisi in gruppi da 20 persone e con uno chaperon d’eccezione; Beppe Bolchi che in quegli stabilimenti ha lavorato più volte iniziamo il nostro tour, l’emozione è alle stelle e la grande porta blu del terzo piano si apre e Charly finalmente entra nella grande fabbrica di Cioccolato.

Non ci accolgono gli Umpa Lumpa, ma affaccendati operai in divisa nera con la scritta Impossible sulla schiena, la cosa che colpisce di più però è una sorta di dislocazione temporale, perdonate la digressione, ma per molti anni mi sono occupato di ceramica, e dalla fine degli anni 80 in poi ho visto progressivamente i macchinari produttivi diminuire nelle dimensioni e i computer aumentare nelle sedi produttive, bene immaginate un area di oltre 2.500 metri quadrati senza nemmeno un PC, solo pannelli meccanici con led luminosi o lampadine e lo scatto dei Relè che come un metronomo segna i tempi del lavoro.

La fabbrica Impossible fù “modernizzata” nel 1978 e da allora i macchinari non sono mai stati cambiati, lo staff attuale li ha modificati, adeguati, ma seguendo la natura stessa del macchinario, quindi restando su profili estremamente “ analogici”.

Ogni componente del film pack viene assemblato singolarmente da specifici macchinari che spesso sono scollegati l’uno dall’altro, quindi una volta preparata la cartuccia nera viene inserita la batteria, che è stata precedentemente controllata nello stato e nella tensione, poi un nuovo macchinario inserisce la molla metallica, e tutto ora viene immagazzinato in grandi dispenser per la parte più complicata del lavoro, la preparazione delle pellicole.

Nel frattempo un altro macchinario produce i piccoli serbatoi che conterranno i chimici e li prepara in cassette che verranno spostate nella macchina che li riempirà.

Successivamente, prima di essere portati all’assemblaggio con il resto della pellicola sui serbatoi viene applicata una striscia adesiva rossa, che è costata a Impossible mesi di ricerca, unica funzione di quella strisciolina di pochi millimetri di larghezza, è impedire che i chimici contenuti nel serbatoio della pellicola escano con una normale pressione, ma solo quando il film viene passato attraverso i rulli di espulsione di una macchina fotografica.

La magia ora è al culmine, in una piccola stanza normalmente oscurata, viene simulato l’assemblaggio di una pellicola; grandi bobine si dipanano, positivo, negativo, emulsione, serbatoio, spugnetta ed infine la inconfondibile cornice bianca,vengono accoppiati e “saldati tra loro ognuno con una diversa resistenza al distacco per favorirne la funzione primaria.

A pochi metri da questa stanza una fustellatrice sta separando i cartoncini neri di protezione che sono uno degli ultimi prodotti a venire assemblati all’interno della stanza buia, ora inizia il divertimento, attraverso un nastro trasportatore che si muove a onda verso il tetto dello stabilimento i fim pack vengono portati verso le ultime fasi dell’assembramento, impilati in un grande dispenser i film pack devono essere completati entro 10 minuti o il contenuto resterà danneggiato, visto che ancora mancano sia lo sportellino principale che quello più piccolo che permette alla pellicola di essere espulsa.

La macchina che è nella stanza buia però è estremamente delicate e spesso si inceppa, scatta quindi un timer regolato su 10 minuti che blocca la produzione ed automaticamente un tecnico munito di occhiali per la visione notturna entra nella stanza, mentre un altro controlla i pannelli di controllo che si trovano all’esterno, se in dieci minuti la macchina non sarà fatta ripartire, l’intero contenuto del dispenser sarà da buttare.

Ora il film pack è pronto e dopo ulteriori controlli che vengono fatti a caso sulla produzione può essere trasportato al primo piano per le fasi di imballo.

Noi però seguiamo un percorso diverso, attraversiamo il laboratorio chimico, dove una ventina tra sacchetti e fusti anonimi contenenti polveri e liquidi bianchi servono a mostrarci la composizione della nuova ricetta per lo sviluppo istantaneo, la nostra guida ci informa che per produrre 40 kg di chimici utili alla produzione di una settimana, occorrono in alcuni casi 0.8 grammi di alcuni prodotti e uno sbaglio in più o in meno determina un danno totale sulla produzione, così come miscelare male il prodotto è altrettanto dannoso.

Mentre i film pack sono già pronti per essere inscatolati, entriamo nel reparto ricerca e sviluppo, dove i tavoli sono coperti di pellicole, fotografie e test colore, si può toccare con mano la passione e la dedizione che scatto dopo scatto, esperimento dopo esperimento hanno portato alla rinascita della fotografia istantanea.

Nel grande reparto una porta di legno anonima conduce nella sala test, dove la famosa bambola appoggiata ad un tavolino con a fianco una tabella colore serve a testare le pellicole, la stanza è ancora piena di poster polaroid e vecchie pubblicità, un atmosfera irreale che trasporta indietro nel tempo, quasi ad aspettarsi l’ingresso di Land per un paio di scatti di prova. ( So che in questo stabilimento Land probabilmente non c’è nemmeno stato. N.d.r. )

Scendiamo anche noi e ci godiamo la lunga fila di pacchi di PX680 che vengono inscatolati e imballati nei cartoni a marchio Impossible.

A questo punto crediamo che la visita sia finita, in realtà mancano ancora due stanze o per la precisione un laboratorio ed un capannone; nel primo vengono riparate le macchine fotografiche e su diversi tavoli ci sono i vari modelli aperti e scomposti nei singoli pezzi, mentre l’ultimo incontro nella fabbrica lo facciamo nel “magazzino” delle stranezze, ovvero tutto quello che lo Staff Impossible, ma principalmente Florian Kaps ha recuperato in giro per il mondo a marchio Polaroid, si và dalle cabine fotografiche anni 80 agli espositori in cristalli passando per tavolini e tante altre stranezze, una sorta di paradiso per collezionisti polaroid.

La visita è conclusa, è tempo di tornare nella sala conferenze per un caffè e la sessione di domande e risposte con i tre fondatori di Impossible ( Kaps, Bosman e Saba ), ma questa è un’altra storia e ve la scriverò un altro giorno.

Alan

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